mercoledì, settembre 27, 2006

PREFAZIO

Un sentipensante sciolto
Discepolín disoccupato. Per stupido (gil) e anacronico.
È vero che il ventessimo secolo è uno spiegamento insolente di malvagità, ma non si tratta di un “cambalache”, d’un disordine senza logica, ma tutt’altro.
Negli albori del terzo millenio rimane chiaro che c´è un ordine. E le sue logiche di espressione sono contundenti all’ora d’impattare nella vita quotidiana di quelli che sono di più in questi “arrabales”1 del mondo.
Cinismo, apparienza, triplice discorso, speculazione, prepotenza del denaro e indifferenza.
Simile costelazione di valori ersi come dominanti originò un particolare stile di sopravvivenza.
Difficile è trovare qualcuno che dica ciò che pensa e sente. Quasi inesistente risulta una persona che rischi a balbettare idee in tempi che si vantano della propria ignoranza a cavallo del pragmatismo.
Ciò nonostante qualcosa sfugì dall’ordine crepuscolare che inocula l’ubbidienza dovuta nelle coscenze.
Una rinnovata e tenera ribellione nata dal dolore e dalla necessità di diffendere quello umano.
Quella che si fa presente in ogni nuovo patto d’amore anonimo in qualsiasi piazza d’una città che prima veniva chiamata a se stessa operaia e portuaria.
E che di solito è internalizzata dai giovani capaci d’innamorarsi e di contagiare la seduzione della parola e del pensiero per opporli allo sfacciato impero dell’efimero, maschera mutante che nasconde il privilegio ancora intatto delle minoranze.
I testi di Fabricio Simeoni sono imbevuti da questa molteplice dimostrazione di resistenza alla vita umana.
C’è una costante sfida a dire ciò che si pensa, a esporre il dolore che producono le situazioni quotidiane e anche viene registrato il valore del pensiero filosofico come attrezzo per costruire un futuro migliore.
Immagino Fabrizio nella sua sedia a ruote pieno d’illusioni e d’idee, giocandole in un libro anche col rischio di confrontare un insieme di diverse cautive paure che si suppone camminano come normali e, invece è da un tratto che hanno paralizzato il cuore e la testa, il sentimento e la ragione.
Mezza dozzina di anni addietro, in un’intervista da me fatta ad Eduardo Galeano, autore di “Las venas abiertas de América Latina”2, Lei mi ha raccontato sull’origine d’una parola che avevo letto in altri articoli. “Sentipensante”...così definiscono certi pescatori della costa peruviana gli esseri umani; perchè gli uomini conoscono , e sono a partire dell’intiuizione, il sentimento e la ragione. “Sono sentipensanti”, è stata la risposta dell’uruguaiano.
Da quel momento percorro le città e i paesini di questa provincia sconvolta dalla disoccupazione e dall’angoscia provocata dalla ricerca di sentipensanti.
Segni esistenziali che servono ad illuminare e tracciare un orizzonte diverso, valori incarnati che non siano quelli delle mercati e sguardi illuminati che commuovono ed emergono dal grigio della strada e di tanti commenti che percorrono le vie, come direbbe un vecchio Julio Cortázar.
Il sistema li sottovaluta, perchè i sentipensanti, indispensabili per la nuova speranza, stanno tra di noi.
Poco fa ne abbiamo scoperto uno di loro.
César, con tredici anni e con più della metà della sua vita raccogliendo barbabietole di zucchero e cottone, lontano dall’elettricità e dall’acqua potabile, in mezzo ad una città sottomessa come un feudo, Villa Ocampo. Questo fanciullo ha un sogno. Vuole essere poeta perchè una volta qualcuno, l’ha regalato un libro di Pablo Neruda e il ragazzino s’n’è innamorato, contagiato per tutta la sua vita da queste parole vive.
Se l’avesse letto, avrei detto che lo scrittore stava a dire una bugia.Ciò nonostante, non è stato così. Succede che a volte la realtà esagera in poesia esistenziale.
In questa mischia incredibile, profondamente umana in tenerezza e in ribellione sebbene ci siano tanti pesari.
César è un sentipensante.
Tra le sue mani, caro e sconociuto lettore, ha un insieme di cartoline esistenziali scritte da un altro irrecoverabile, incorregibile e indispensabile sentipensante chiamato Fabricio Simeoni.
Si lasci portare dai suoi pensieri semplici e profondi.
Sarà una maniera di sapere che ancora c’è, in mezzo a tanta mediocrità e speculazione, gente che ci fa sentire vivi e che ci dimostra che l’avventura umana ha un senso nel profondo dell’universo.
Carlos del Frade
Rosario, agosto 2000

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